domenica 15 settembre 2013

Riflessioni, tra un bucato e l'altro


La domenica il tempo rallenta, e si ha modo di riflettere un po' di più su quello che accade, fuori e dentro di se.

Oggi è giorno di bucato. La brezza accarezza le stoffe umide che mi accingo a stendere, mentre il sole fa capolino tra una nube e l'altra. Tutto si muove, ma con una dinamica staticità. Maglie, magliette, pantaloni lunghi, pantaloni corti, calze, mutande....quanta roba da far asciugare! Non importa. Ciò che conta è stendere. Spero solo che le nuvole non impediscano al sole di asciugare questi capi. Già, quello che conta è quello che accade ora, stendere. Perché mi preoccupo del sole, delle nuvole o del bucato, allora? Perché mi preoccupo di quello che sarà, e non di quello che è già? Potrei godermi le melodie della natura, ma a quanto pare, le mie orecchie vogliono solo ascoltare il silenzio di questa mia inquietudine. Cerco di capirne le cause. La mia mente mi proietta nel passato.

Ieri è stata un giornata impegnativa, ultima di una settimana davvero intensa. Nel pomeriggio, mentre lavoravo, pensavo ancora ai successi realizzati nei giorni precedenti, e che mai avrei immaginato di realizzare così velocemente. Finito il lavoro, un irrefrenabile desiderio mi assale. Provare a ripetere uno degli esercizi per il quale ho penato tanto, e che mi ha fatto provare una forte emozione eseguirlo per la prima volta; un brivido che mi ha scosso da capo a piedi. Primo tentativo, fallito. Secondo tentativo, fallito. "Perché questo, ora? Venerdì ci sono riuscito! Perché? Dove sbaglio?", ho pensato. "Certo, fallisco a causa della stanchezza fisica accumulata!" ho continuato a pensare. In effetti, ero abbastanza provato, anche se ho persistito ugualmente. Dopo innumerevoli tentativi, sono riuscito nell'impresa, ma a discapito delle mie mani...tre dolorose spellature mi hanno ricordato che non sono indistruttibile. Le guardo. La mano destra perde anche un po' di sangue. E' una vescica che si è rotta. Così come la luna piena illumina una distesa landa oscura, ho compreso chiaramente cosa sia successo. Il sangue e le ferite sulla mia pelle rappresentano l'eccesso, l'avidità, l'insoddisfazione, presenze oscure all'interno di ogni ego umano. Esse si sono manifestate attraverso il mio sforzo artificioso nel cercare di provare la sensazione di un momento che non esiste più, e mai più esisterà, non per lo meno così come l'ho vissuto la prima volta. Il tempo trascorre, è inutile cercare di riavvolgerlo come il nastro di una vecchia cassetta, sul quale è registrato il film che vogliamo rivedere. Non è la stessa cosa. Il tempo ci concede i semi nel momento giusto per essere piantati, e ci dona i frutti quando questi sono abbastanza maturi per essere raccolti, e questi li ho già raccolti nei giorni scorsi. Allora perché ho forzato? Perché ho persistito a farmi del male? Non dovevo dimostrare nulla a nessuno, tranne che a me stesso. Ma chi è me stesso? Qualcuno che ha bisogno di sapere che adesso, costui, è in grado di realizzare delle imprese che prima non avrebbe mai immaginato di poter realizzare? Qualcuno che crede che prima dell'America, prima di tutto questo, costui, fosse una nullità? No, non è ciò che ho necessità di conoscere su me stesso, non sarebbe costruttivo, produrrebbe solo stupidi risentimenti verso quello che io non sono più. In realtà, credo che questi avvenimenti accadano affinché si possa affermare con coraggio e convinzione che quello che si sia scelto di fare, di diventare, e di essere, sia la realizzazione della nostra reale ed immutabile natura, quella che si cela nelle profondità della nostra anima, quella che ci guida sul nostro cammino, e che ci protegge dal penare oltre modo per rimanere in carreggiata. Invece, quando ci si ferisce, perché non si rispetta questo principio, quelle ferite diventano piaghe, e le piaghe rendono dolorosa anche la più semplice delle azioni.

Il presente ritorna, e mi rendo conto di essere quasi alla fine. Il bucato è quasi del tutto steso. Ora comprendo un po' più chiaramente le cause della mia inquietudine, e posso tornare a medicare le ferite che la generavano. Ciò che importa è solo stendere il bucato, e mentre penso questo, riesco finalmente ad ascoltare le melodie della natura intorno a me!

Nel frattempo,  ecco che appendo il mio ultimo capo.

2 commenti:

  1. Ho sempre pensato, perlomeno da quando ho messo giudizio - e non è da molto -, che questo non sarebbe se non prima non fosse stato quello.
    Così ho smesso di litigare con me stesso e di storcere il naso di fronte alle cose di me che non mi piacciono. Mi sono anche accorto che spesso il disagio rispetto a qualcosa di noi non deriva tanto da come ci giudichiamo ma da come temiamo ci giudichino gli altri.
    Come dice il tuo e nostro maestro: "big ego".
    Comunque ti sento "tonico" e concentrato, sento che stai facendo un gran lavoro su te stesso. Il consiglio di un vecchio (certo più vecchio di te...) amico: prendi tutto con un pizzico di ironia e autoironia!
    Un abbraccio, Pino

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